di Luca Gibello

Fabbriche: archeologie industriali e nuovi usi, da luoghi del lavoro manuale a luoghi del pensiero collettivo  (Sant’Andrea di Conza, 30/10/2010)

 Dalla cultura del fare a quella del ri-fare

Ri-pensare, ri-usare, ri-ciclare, ri-convertire, ri-adattare, ri-sistemare, ri-definire, ri-vitalizzare.

Re-interpretare, re-inventare, re-staurare, re-cuperare, re-impiegare.

 Contro il drammatico consumo di suolo determinato dagli attuali processi di antropizzazione, sono questi i temi su cui gli assetti territoriali e la cultura del progetto devono oggi misurarsi, in un pianeta dove gli spazi sono sempre più esigui in rapporto al numero di coloro che lo abitano e in rapporto alle sempre più scarse risorse che esso è in grado di garantire.

La riflessione circa il destino degli opifici dismessi, le cosiddette «cattedrali del lavoro», è dunque un terreno privilegiato in cui questa sfida può essere giocata. Ma come conservare la memoria del lavoro senza imbalsamarne le reliquie? Senza trasformarne tutte le testimonianze in musei di se stessi? Conservare tutto sarebbe infatti, oltre che un’operazione improponibile dal punto di vista economico, anche un’azione priva di senso.

Prima di procedere alla cancellazione totale di un complesso ex industriale, è tuttavia necessario operare una selezione critica che, per quanto concerne le testimonianze costruite, va esercitata ad almeno due livelli:

1) il primo è quello della conservazione integrale: isolando cioè pochi casi significativi in quanto emblematici, paradigmatici

2) il secondo è quello della trasformazione: intervenendo cioè con sapiente equilibrio tra mantenimento delle preesistenze e inserzioni ex novo, tra conservazione e modificazione; valorizzando le peculiarità degli spazi attraverso opportune sottolineature; agendo con rispetto e umiltà ma al contempo con fermezza e senza falsi pudori o nostalgie per un tempo che non c’è più e che è insensato ricreare artificialmente. È questo il campo in cui si può operare, confrontandosi con gli ampi orizzonti quantitativi che la dismissione industriale ci presenta.

L’appuntamento odierno è un’occasione per discutere di buone (o meno buone) pratiche che seguono un simile approccio metodologico. E l’esempio del luogo in cui ci troviamo (un’ex fornace trasformata in spazio culturale pluriuso) è calzante in tal senso.

 La Storia è un processo di accumulazione selettiva di fatti, documenti e memorie. Di qui la necessità di operare scelte sugli oggetti da conservare e sulle modalità di conservazione delle testimonianze del passato industriale. Ma la Storia è anche evolutiva, nel senso che i «materiali» di cui è composta s’innestano in un corpus continuum preesistente di cose, stratificando e sovrapponendo ai segni di ieri quelli dell’oggi.

I progetti di recupero qui rapidamente presentati in rassegna rientrano così appieno nell’alveo della Storia. Essi infatti la valorizzano in quanto ne sanno ravvivare le vestigia, ma al contempo non si dimenticano di essere pienamente partecipi della propria epoca, perchè hanno la capacità di stratificare «nelle pietre» un segno contemporaneo.

 Luca Gibello

storico dell’architettura conteporanea e caporedattore de «Il Giornale dell’Architettura»

Una risposta a di Luca Gibello

  1. agostino ha detto:

    Un grazie particolare per la partecipazione di Luca e per la sensibilità e attenzione che ha dedicato alla nostra terra.

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