di FRANCA MOLINARO / Il Giardino della Grande Madre / La quercia, residenza degli dei

Dopo un breve periodo di assenza sono tornata sulle strade provinciali dell’Irpinia e con grande sgomento ho preso atto di un fatto sconvolgente. Guidando lungo la vecchia statale delle Puglie, improvvisamente, mi son sentita spaesata, come se, strada facendo, presa dai miei pensieri, avessi smarrito la via e mi fossi inoltrata in un territorio sconosciuto. Con uno sforzo di coscienza ho provato a concentrarmi sul luogo dove mi trovavo e sul perché di quell’angoscia che mi stringeva il petto quasi sospendendo il respiro. Non ho sbagliato strada, costeggio da lontano il fiume Calore nel comune di Venticano ma, nel giro di venti giorni, qualcosa è accaduto a questo luogo così familiare. L’Irpinia è piacevole da percorrere per la bellezza delle sue strade ombrose, fiancheggiate da alberi maestosi, vi crescono diverse varietà di Quercus, Acer, Ailanthus altissima, Robinia pseudoacacia, Populus, Tilia, Ulmus ecc.. In alcuni tratti la vegetazione è così folta che i rami si intrecciano nel cielo fino a formare una  volta verde dove il sole filtra con raggi frammentati e verdastri. La magia si accentua in primavera quando ogni pianta si riveste di tenere foglie e fiori appariscenti e non, allora si avverte il profumo appena percettibile delle gemme nuove, della vegetazione giovane, si realizza una sinestesia di sensi che rinvigorisce lo spirito, rallegra il cuore, allieta gli occhi. Ora, improvvisamente, la Statale delle Puglie appare calva, spogliata dei suoi cigli frondosi, ogni albero presente sui bordi della strada e sulla scarpata adiacente è stato abbattuto. La strada si offre agli occhi desolata, ci sono solo i bordi deturpati e il cielo, l’orizzonte è sgombro come sulle strade pugliesi. Chi ha commissionato tale scempio avrà sicuramente le sue ragioni, probabilmente ragioni di manutenzione, di agevolazione del traffico pesante o chissà che altro.

Non sto a fare sentimentalismi sulla bellezza del paesaggio deturpato, pazienza, , non godrò più le vie ombrose e i profumi della natura, ma non posso assolutamente pensare che esista una sola ragione per abbattere alberi secolari il cui fusto supera il metro di diametro. Lungo i cigli delle strade, tronchi segati a livello del terreno testimoniano lo scempio sciagurato che qualcuno, mi auguro momentaneamente, fuori senno, ha ordinato. Le querce sono un patrimonio naturale, sono gli ultimi colossi della nostra flora, giustamente, il Corpo Forestale chiede conto ai proprietari di ogni albero abbattuto, come mai ora, un corpo così sensibile a tali tematiche, non prende provvedimenti? Sono state abbattute, oltre agli alberi a crescita veloce come ailanto, pioppi e robinie, querce che ricordano più secoli, giganti buoni che hanno dato ristoro a viandanti, cibo agli animali con frutti e foglie. Un tempo, in autunno si praticava l’abbacchiatura delle ghiande percuotendo i rami con grossi martelli di legno. Le donne e i bambini le raccoglievano per i maiali o per venderle al mercato. Passavano giornate intere curvi o inginocchiati sulla nuda terra, con le mani lacere di ragadi causate dal contatto con la terra bagnata, con gesti agili delle dita prendevano i frutti uno per uno e ne riempivano cestelli e sacchi. In tempo di carestia, la farina ricavata dalle ghiande essiccate era aggiunta ad altre farine per la panificazione. Mescolando farina di ghiande e un tipo di argilla si otteneva un pane documentato ancora negli anni sessanta del Novecento, un pane di origine antichissima con uno straordinario potere nutritivo. Ma non tutte le ghiande sono eduli, lo sono quelle del rovere, del leccio, della Valonea e della Macrolepsis. Il legno dei rami ha dato energia termica, calore per riscaldarsi durante l’inverno. Con i tronchi hanno costruito imbarcazioni, botti ed altri manufatti destinati a durare nei secoli. Le galle, causate dalla puntura di una vespa, erano usate in medicina per le loro proprietà astringenti, per la concia e la tintura delle pelli, per preparare l’inchiostro. Anche la corteccia era usata nella concia delle pelli, veniva pestata e macerata in acqua, era impiegata, inoltre, dai cantinieri, per conferire al vino un colore più intenso. Tutto l’albero è irrorato da una linfa rossiccia che sgorga se ferito. La presenza maestosa della quercia era punto di riferimento per gli incontri, in alcuni posti, si diceva che si andavano a prendere i giornalieri “a la cerza”, i braccianti si riunivano sotto un grande albero di quercia dove aspettavano i massari o i caporali che procuravano il lavoro.

La quercia da sempre è stata un simbolo sacro, albero cosmico che rimanda alla paternità degli dei, alla fecondità, non a caso la ghianda e il glande hanno la stessa radice linguistica. La quercia è talmente longeva che può vivere 2000 anni. Non c’è da stupirsi, dunque, se risulta essere albero sacro a più culture. Originariamente era consacrata  a Dione, per alcuni sposa di Crono e madre di Zeus, per altri sposa dello stesso Zeus a Dodona. In questa città dell’Epiro, secondo Pausania, c’era il più antico oracolo greco, abitava una quercia sacra a Zeus e parlava per mezzo delle sue profetesse: Promenia, Nicandra e Timarete. I popoli nordici adoravano allo stesso modo un Dio della folgore e del tuono che manifestava la sua emanazione con il ramo d’oro nato sui rami delle querce, lo stesso ramo che Frazer narra essere presente nel querceto di Nemi. Tutti i racconti delle antichità narrano di querce diffuse su ogni angolo della terra. Nell’Antico Testamento la quercia è albero cosmico, collegamento tra cielo e terra, è spesso presente quando Jahvè si manifesta ai suoi prescelti. Plinio il Vecchio scriveva che le querce dei territori germanici crescevano talmente numerose da invadere il litorale, il mare le scavava e le portava in sua balia come isole; le piante si reggevano in piedi sull’acqua grazie all’intrigo di radici e spesso, di notte, finivano contro le navi impigliandosi nelle vele. Con l’avvento del cristianesimo, i primi evangelizzatori fecero uno scempio di querce in tutta l’Europa centrale, occorreva sradicare il paganesimo partendo dai suoi simboli. Nel 1128, di fronte all’accanimento contro le querce del vescovo Ottone di Bamberg, i contadini reagirono minacciando una sanguinosa rivolta, allora le piante furono risparmiate a patto di sospenderne la venerazione. Ma come ogni credenza pagana occorreva correggerla non potendo abolirla così, nell’iconografia cristiana si convertì a luogo sacralizzato dall’apparizione della Vergine.

Molti anni dopo, Basile, con lo cunto di Cianna, chiese riscatto dell’onore perduto dalla quercia che da produttrice di cibo per uomini grandi era diventata datrice di alimento per porci. Oggi non le si riconosce nemmeno questo misero ruolo, è abbattuta sconsideratamente.

dalla rubrica di F.M. su 8 pagine 27.2.2011

 

 

 

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Una risposta a

  1. rocco quagliariello ha detto:

    posso ammettere, questa volta, che il pezzo impaginato dall’Amministratore inerente la rubrica della Sig.ra F.M. sul quotidiano 8 pagine di domenica scorsa, è molto paesologico, dunque attinente al Blog ed allo spirito comunitario.

    dunque vive congratulazioni all’Autrice del Post oltre che all’Amministratore del Blog.

    una descrizione , rappresentazione assai suggestiva
    scritta bene piacevole leggera essenziale, sobria, come si conviene…
    Saluti comunitari.
    RQ

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